Scrittore
Giovanni
Tema
Conoscere la verità, ubbidire a Dio e vivere nell’amore
Datazione del testo
ca. 85–95 d.C.
Contesto
Cinque libri del Nuovo Testamento sono associati al nome di Giovanni: un Vangelo, tre epistole e il libro di Apocalisse. Sebbene l’apostolo non si presenti personalmente come scrittore di questa lettera, alcuni storici del secondo secolo (cosiddetti “padri della chiesa” come Papia, Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino) affermano che essa fu scritta proprio da Giovanni, uno dei dodici apostoli. La prima lettera di Giovanni e il Vangelo omonimo, oltre ai temi e alle immagini in essi riportati (cioè contrasti come luce e tenebre, vita e morte, verità e menzogna, amore e odio), sono molto simili anche per stile e vocabolario (sono accumunati da un linguaggio semplice). Queste evidenze confermano il riconoscimento della paternità di entrambi i testi all’apostolo Giovanni, anche da parte della chiesa dei primi secoli (vd. introduzione al Vangelo di Giovanni per notizie su Giovanni). Diversi passi (ad es. 2:12-14, 19; 3:1; 5:13) confermano il parere secondo cui la lettera fu scritta in origine a dei credenti, ma non ci sono particolari nella lettera che testimonino esplicitamente chi fossero o dove vivessero. La lettera non contiene dei saluti e né menziona persone, luoghi o avvenimenti. La spiegazione più probabile di questo fatto è che Giovanni scrisse da Efeso (dove trascorse i suoi ultimi anni, ca. 70–100 d.C.) a diverse chiese nella provincia dell’Asia Minore. Clemente Alessandrino sostiene che Giovanni ministrava in diverse chiese di quella regione. Dallo scritto sembra chiaro che queste comunità riconoscessero l’autorità di Giovanni come apostolo (cioè chiamato personalmente da Gesù a trasmettere il Suo messaggio di grazia e a costituire chiese; cfr. Ap 1:11). Dal momento che le chiese affrontavano problemi e necessità simili, Giovanni probabilmente scrisse l’epistola come una lettera aperta, da far circolare tra i credenti in vari luoghi, assieme ai suoi saluti, tramite un messaggero
La questione principale, trattata in questa lettera, è il sorgere, in seno alla chiesa, di false dottrine sulla salvezza in Cristo e sulla realizzazione pratica di tale salvezza nella vita del credente. Alcuni, che in un primo momento frequentarono le comunità destinatarie dell’epistola (2:19) dopo averle abbandonate, cominciarono a insegnare false dottrine, distorcendo il messaggio di Cristo e provocando, di conseguenza, molta confusione tra i credenti. Alcuni cominciavano a dubitare riguardo alla certezza della vita eterna. Dal punto di vista dottrinale (cioè riguardo alle basi del loro insegnamento), questi falsi dottori negavano che Gesù fosse il Cristo (il Messia, il Salvatore, il Figlio di Dio, 2:22; cfr. 5:1) o che Egli fosse venuto in forma umana (4:2, 3). Dal punto di vista etico (cioè riguardo ai principi morali di comportamento), essi insegnavano che ubbidire ai comandamenti (2:3, 4; 5:3), vincere la concupiscenza del mondo (2:15-17) ed evitare il male (3:7-12) non fossero necessari per la salvezza (cfr. 1:6; 5:4, 5). Questi insegnamenti rappresentavano una forma primordiale di gnosticismo, una delle eresie (falsi insegnamenti che contraddicono la verità della Parola di Dio) più pericolose nei primi due secoli della storia della chiesa. L’insegnamento fondamentale di questa filosofia consisteva nell’asserire che lo “spirito” (il regno spirituale) rappresentasse il bene, mentre la “materia” (il mondo fisico) il male. Questo dualismo spingeva a credere che la salvezza avvenisse attraverso la liberazione dal corpo, non per mezzo della fede in Cristo, ma per mezzo di una conoscenza superiore rivelata (da qui il termine greco gnosis che significa “conoscenza”).
Questa eresia fuorviante portava alcune persone a respingere la natura umana di Gesù (cfr. 2:22, 23; 4:3) e ad accettare delle strane idee circa la Sua vita, morte e risurrezione. Alcuni sostenevano che Gesù sembrava avere un corpo soltanto in apparenza. Altri credevano che il “Cristo spirituale” fosse separato dal “Gesù fisico” e che questi fossero un’entità unica soltanto tra il battesimo presso i Giordano e pochi istanti prima della Sua morte. Giovanni denuncia apertamente questi insegnamenti, presentando il Figlio di Dio come vero uomo, “che abbiamo visto con i nostri occhi … che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato” (1:1; cfr. 2:22; 4:2, 3). Questa filosofia del bene e del male in rapporto allo spirito e alla materia portava inoltre a due estremi. Alcuni suoi seguaci praticavano l’ascetismo estremo (vivevano cioè una vita di grave austerità, arrivando a punire il proprio corpo), altri erano dediti alla promiscuità sessuale e alla soddisfazione di desideri carnali. Costoro non ritenevano importante ciò che era compiuto con il proprio corpo. Giovanni insegna diversamente, ponendo continuamente l’accento sull’ubbidienza ai comandamenti di Dio, sui principi morali della Sua legge e sul rifiuto della mondanità (cfr. 2:3-5, 15-17; 3:3-10; 5:2, 3, 18). L’apostolo, inoltre, utilizza quarantadue volte due verbi greci tradotti solitamente con “conoscere” o “sapere”, uno dei quali direttamente collegato al nome degli gnostici. Così facendo evidenzia che la vera conoscenza di Dio non viene attraverso una “sapienza” segreta, rivelata a questi falsi dottori o a qualunque altra persona. Conoscere il Signore è possibile soltanto per mezzo della comunione personale con Gesù Cristo, il Figlio di Dio (vd. 1:3; 5:20).
Scopo
Giovanni scrisse questa lettera per due motivi:
(1) denunciare e contestare gli errori dottrinali (cioè riguardanti la fede) ed etici (cioè riguardanti la condotta) dei falsi dottori;
(2) esortare i suoi “figli spirituali” (i credenti) a ricercare una vita pura e in comunione con Dio, applicando la loro devozione a ciò che è giusto. Una tale vita è caratterizzata dalla gioia piena (1:4) e dalla certezza della vita eterna (5:13) che viene dalla fede ubbidiente in Gesù, il Figlio di Dio (4:15; 5:3-5, 12) e dalla continua presenza dello Spirito Santo nel credente (2:20; 4:4, 13).
Alcuni credono che questa lettera fosse a corredo del Vangelo di Giovanni.
Sommario
La fede e l’etica – il principio e la pratica – sono intrecciate inseparabilmente in questa lettera. I falsi dottori che Giovanni chiama “anticristi” (2:18-22), stavano abbandonando e minando il vero insegnamento circa Cristo e i principi di Dio per la vita cristiana. Come 2 Pietro e Giuda, 1 Giovanni respinge e condanna energicamente questi falsi insegnanti (es. 2:18, 19, 22, 23, 26; 4:1, 3, 5), il loro messaggio e stile di vita ingannevoli.
Inoltre, 1 Giovanni descrive le caratteristiche della vera conoscenza di Dio e della comunione con Lui (ad es. 1:3–2:2). Giovanni elenca cinque evidenze attraverso le quali i credenti possono essere certi di avere la vita eterna:
(1) la fede in Cristo (1:1-3; 2:21-23; 4:2, 3, 15; 5:1, 5, 10, 20);
(2) l’ubbidienza ai comandamenti di Cristo (2:3-11; 5:3, 4);
(3) una vita santa (cioè separata dal peccato e nella volontà di Dio; 1:6-9; 2:3-6, 15-17, 29; 3:1-10; 5:2, 3);
(4) l’amore per il Signore e per i credenti (2:9-11; 3:10, 11, 14, 16-18; 4:7-12, 18-21);
(5) la testimonianza dello Spirito Santo (2:20, 27; 4:13; 5:7-12).
Giovanni conclude dichiarando che il frutto evidente – i risultati visibili del carattere – di questi cinque aspetti nella vita di un credente, fugano ogni dubbio riguardo alla salvezza di quest’ultimo (5:13).