Il Nuovo Testamento descrive la venuta del Figlio di Dio. Il suo nome è Gesù, Egli ha adempiuto le profezie dell’Antico Testamento vivendo una vita perfetta, morendo per essere il Salvatore del mondo e risuscitando dai morti per la giustificazione di tutti coloro che credono. I primi quattro libri parlano della vita di Gesù, e sono chiamati Vangeli (cioè “buona notizia”). Lo scrittore di uno dei Vangeli, Luca, ha elaborato anche un resoconto dei primi avvenimenti storici che coinvolsero la Chiesa e della predicazione dell’Evangelo: gli Atti degli Apostoli. Il resto dei libri è costituito da lettere fatte recapitare a varie chiese cristiane, che contengono insegnamenti, incoraggiamenti, riprensioni e consigli, molte delle quali scritte da Paolo, l’apostolo delle Genti. L’ultimo libro, denominato Apocalisse, è “la rivelazione di Gesù Cristo”, che presenta gli eventi conclusivi della storia umana e la vittoria finale di Cristo.

 

Sommario

 

Gli scrittori del Nuovo Testamento

I credenti dell’èra apostolica possedevano una Bibbia, la versione greca dell’Antico Testamento, indicata come “la versione dei Settanta” (LXX). All’epoca ignoravano che in seguito si sarebbe formato un altro gruppo di libri, il Nuovo Testamento. Avendo a disposizione sia l’Antico che il Nuovo Testamento, siamo evidentemente avvantaggiati rispetto ai credenti che vissero durante i primi anni della Chiesa. Il Nuovo Testamento è composto prima di tutto da quattro libri che narrano la vita, il ministerio, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo; un altro libro, gli Atti degli apostoli, parla della proclamazione e della diffusione dell’Evangelo dal giorno della Pentecoste; poi, di seguito, vi sono raccolte ventuno lettere degli apostoli, e un libro profetico, l’Apocalisse.

Gesù nacque intorno al 4 a.C. (a causa di un errore di Diogene il Piccolo nel redigere il suo calendario); iniziò il Suo ministerio pubblico nel 26 d.C. e fu crocifisso nell’anno 30 della nostra èra. Non lasciò alcun documento scritto. Dopo la Sua ascensione in gloria e l’effusione dello Spirito Santo il giorno della Pentecoste, gli apostoli e i primi cristiani furono soprattutto impegnati nell’annunciare gli avvenimenti storici salienti dell’Evangelo. Ai Giudei in Gerusalemme proclamarono che Gesù di Nazaret, il grande Maestro che su richiesta dei capi religiosi era stato condannato a morte da Pilato, il governatore romano, non era altri che il Messia promesso loro dalle Scritture; che Egli era risorto dai morti ed era tornato in cielo e aveva sparso lo Spirito Santo con il segno iniziale delle lingue. Predicarono poi che la Sua morte faceva parte del piano di Dio per donare salvezza all’umanità perduta. Questo era l’Evangelo o la Buona Notizia.

Abbiamo visto che molti Giudei erano sparsi per tutto l’impero romano, in Egitto, in Grecia, in Siria, a Roma e in Asia Minore. Molti di loro si radunavano nelle sinagoghe e leggevano le Scritture dell’Antico Testamento, e tra loro vi erano anche alcuni pagani che avevano creduto nel Dio vivente. Al principio del suo ministerio, Paolo soleva entrare nelle sinagoghe e predicare il Messia promesso. Quando visitò Atene, Corinto e altre città pagane, predicò in una forma diversa, ma l’Evangelo, come dichiarò ai corinzi, era in ogni luogo lo stesso, e annunciava che “Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture [l’Antico Testamento]” (I Corinzi 15:3, 4).

I Giudei di Berea, “più nobili di quelli di Tessalonica … ricevettero la Parola con ogni premura, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così” (Atti 17:11). Probabilmente si radunavano e leggevano da un unico rotolo dell’Antico Testamento, esaminando attentamente i sacri scritti e mettendoli a confronto con il messaggio che Paolo predicava. Senza dubbio altri gruppi di credenti facevano lo stesso. Mettetevi al loro posto; quale desiderio sarebbe sorto nel vostro cuore dopo che l’apostolo era partito? Naturalmente quello di conoscere sempre di più riguardo al Salvatore! Così, a questi gruppi di cristiani convertiti, a queste chiese o comunità o assemblee, Paolo inviò le sue epistole. Naturalmente abbiamo la tendenza a pensare ai Vangeli, Matteo, Marco, Luca e Giovanni, come ai primi testi che siano stati scritti, ma i più antichi documenti cristiani sono le lettere di Paolo. Le prime furono quelle ai Tessalonicesi, scritte verso il 50 d.C., da Corinto. Queste epistole venivano senza dubbio lette pubblicamente, studiate, messe in relazione con l’Antico Testamento e poi trasmesse da un gruppo di credenti all’altro (cfr. Colossesi 4:16).

Le lettere apostoliche fanno ora parte del Nuovo Testamento. Tredici o forse quattordici, se includiamo la lettera agli Ebrei, sono state scritte da Paolo, due da Pietro, una da Giacomo, tre da Giovanni e una da Giuda. Certamente gli apostoli non pensavano che quanto scrivessero sarebbe stato letto dai cristiani, da voi e da me circa duemila anni dopo, in una lingua completamente diversa dalla loro. Ma intanto il Signore guidava la preparazione dei diversi documenti che avrebbero un giorno costituito IL LIBRO.

Come seppero dei detti e dei miracoli del Signore i primi gruppi di cristiani a Efeso, a Filippi e a Corinto? Paolo non era stato un discepolo diretto, benché abbia potuto udire qualche messaggio di Gesù, ma lui, Barnaba e Sila avranno certamente raccontato quanto sapevano. I fatti della vita di Gesù Cristo erano senza dubbio narrati, e vi era stato perfino qualche tentativo di metterli per iscritto, come afferma Luca nell’introduzione al suo Vangelo: “Molti hanno intrapreso a ordinare una narrazione dei fatti che hanno avuto compimento in mezzo a noi”. Ma queste prime narrazioni dovevano essere frammentarie e inesatte.

Verso il 60 d.C. cominciarono ad apparire racconti autentici, stilati da testimoni oculari della vita di Gesù. Ecco come uno studioso ricostruisce la storia del Vangelo di Marco.
L’episodio si sarebbe verificato a Cesarea, sede del governo romano per la Siria e per la Palestina, dove soggiornavano molti ufficiali e soldati romani. Cesarea era anche uno dei centri della Chiesa cristiana del I secolo. Forse un giorno un insegnante cristiano visitò una delle chiese, supponiamo Cesarea, e disse: “Fratelli, ecco una copia di una narrazione della vita, della morte e della risurrezione del nostro Signore, che è stata scritta da Marco, per un tempo compagno di Paolo e poi di Pietro. Certamente sapete che Pietro è stato con Gesù fin dal principio, e ha narrato tutto a Marco, il quale ha messo ogni cosa per iscritto”. Forse avrà anche aggiunto: “Alcuni di voi sono soldati romani; ebbene, scoprirete che Marco ha scritto proprio secondo il vostro gusto, ha spiegato costumi giudaici che non avreste potuto comprendere, usando proprio la vostra terminologia militare”. Immaginate con quale desiderio quei cristiani si saranno radunati, e con quanta attenzione avranno ascoltato, mentre uno dei loro anziani o dei loro diaconi leggeva quelle gloriose pagine! Qualche fatto, senza dubbio, lo conoscevano già, ma la maggior parte risultava una novità.

Il Vangelo di Matteo evidentemente è stato scritto per i Giudei, perché spesso l’evangelista riporta citazioni dell’Antico Testamento per provare che Gesù di Nazaret è il Messia promesso, e che ha adempito alla lettera le profezie degli scritti sacri. Confrontando i seguenti riferimenti con il contesto se ne otterrà l’evidenza: Matteo 1:22; 2:15, 17, 23; 3:3; 4:14; 8:17; 12:17; 13:14, 35; 21:4; 26:56; 29:9, 35.

Luca, “il caro medico” (cfr. Colossesi 4:14), collaboratore di Paolo, che si trovò con l’apostolo a Roma nell’ultimo scorcio della sua vita (II Timoteo 4:11), scrisse il terzo Vangelo. Aveva un amico intimo, un greco chiamato Teofilo, che desiderava informare più dettagliatamente intorno alla salvezza divina, della quale era assolutamente certo (Luca 1:1-4). Luca era un uomo di cultura superiore a Marco, e scrisse in un greco migliore; inoltre, essendo medico, usò termini tecnici per designare le malattie. Luca riporta quello che né Matteo né Marco hanno descritto. Vi sono, infatti, sessanta tra episodi, discorsi, parabole e miracoli che non si trovano negli altri Vangeli.

Luca ha scritto anche il libro intitolato “Atti degli apostoli”, che indirizza allo stesso amico, Teofilo. Questo libro narra gli avvenimenti accaduti dopo l’ascensione al cielo del Signore: la discesa dello Spirito Santo e la predicazione degli apostoli ai Giudei e ai Gentili, particolarmente il ministerio dell’apostolo Paolo e dei suoi compagni, “da Gerusalemme e fino all’Illiria”. Luca accompagnò Paolo in alcuni dei suoi viaggi, come vediamo nell’uso della prima persona plurale in Atti 16:10 e anche in Atti capp. 20, 21, 27, 28. Troviamo Luca con Paolo durante gli ultimi avvenimenti della vita terrena dell’apostolo delle genti, poco prima del martirio per ordine del crudele imperatore Nerone (II Timoteo 4). La diffusione di copie di questi tre Vangeli non fu semplice come invece può risultare ora, perché l’arte della stampa a caratteri mobili non era stata ancora inventata. Le copie dovevano essere scritte laboriosamente a mano. Alcune chiese forse possedevano il Vangelo di Marco, altre quello di Matteo, ma pochissime quello di Giovanni, l’ultimo a essere redatto. Questo Vangelo fu scritto dall’apostolo quando era ormai un vegliardo di circa novanta anni. Al tirannico Nerone succedettero in un periodo di due anni Galba, Ottone e Vitellio, seguiti dai prosperi regni di Vespasiano e di suo figlio Tito. Durante il regno di questi imperatori, precisamente nell’anno 70, Gerusalemme venne distrutta e migliaia di Giudei rimasero uccisi e furono dispersi, come Gesù stesso aveva predetto (Matteo 24:1, 2). Gerusalemme fu rasa al suolo, l’aratro romano passò sulla città (Michea 3:12) e il popolo fu ridotto in schiavitù.

A Tito seguì Domiziano, suo fratello. La crudeltà di quest’uomo, che non si fermò davanti a età, sesso o posizione sociale, è senza precedenti nella storia. Domiziano regnò dall’anno 81 d.C. per quindici anni, e durante questo periodo le sofferenze dei cristiani appaiono davvero indescrivibili. Superò l’infausto Nerone nel perseguitare con crudeltà i seguaci di Cristo. La tradizione afferma che l’apostolo Giovanni fu condotto davanti all’imperatore, il quale, dopo averlo esaminato, lo condannò a essere gettato in una caldaia di olio bollente, da cui uscì illeso alcune ore dopo. Tertulliano, uno dei più noti esponenti della chiesa in Africa settentrionale, dichiara la fondatezza di questo episodio e nessun scrittore antico lo ha mai negato. È certo che Giovanni fu esiliato nell’isola di Patmos, dove i peggiori criminali erano mandati ai lavori forzati nelle miniere di sale. Qui, come sappiamo, ricevette quelle meravigliose rivelazioni di Gesù Cristo glorificato, e le visioni del futuro così come narrate nel libro dell’Apocalisse. Quando Nerva fu eletto imperatore, abrogò i decreti di Domiziano; così Giovanni tornò a Efeso, dove era stato vescovo, e terminò la sua vita terrena all’età di 100 anni circa.

Proprio Giovanni, “il discepolo che Gesù amava”, scrisse il Vangelo che porta il suo nome. La sua prima lettera avvertiva la diletta famiglia dei credenti a guardarsi da falsi dottori e false dottrine, e senza dubbio scrisse il Vangelo per proclamare la divinità di Cristo (Giovanni 1:1, 2). Ci presenta il Figlio di Dio come il pane della vita, il buon pastore, la vera vite, e narra molte preziose verità che non si trovano negli altri Vangeli. Quanto sarebbe incompleta la nostra Bibbia senza la narrazione degli ultimi detti del Signore prima della Sua crocifissione (dal capitolo 14 al 17 del Vangelo di Giovanni)! Come avremmo desiderato udire per la prima volta il suo meraviglioso messaggio, se fossimo vissuti ai giorni di Giovanni!

Tutti i libri del Nuovo Testamento furono scritti in greco, il mezzo divinamente preparato per diffondere la Parola di Dio ovunque. Marco usa molte parole latine e trascrive alcuni termini in aramaico, come abbiamo già visto. Quando i libri del Nuovo Testamento furono composti, si diffusero in tutto l’impero romano. I cristiani di ogni luogo curarono attentamente questi scritti, e nei secoli seguenti ne moltiplicarono le copie. Gradualmente i credenti si resero conto che quei libri erano “Scritture”, cioè scritti ispirati che dovevano essere aggiunti alle Scritture ebraiche dell’Antico Testamento. Forse il primo caso di questa percezione è in una delle epistole, in II Pietro 3:15, dove l’apostolo, riferendosi alle lettere di Paolo, le classifica come “Scritture”.

Il Canone del Nuovo Testamento

Per quanto riguarda la conferma indiretta del canone del Nuovo Testamento da parte dell’apostolo Giovanni, è stato scritto: “Non siamo informati di qualche autorevole dichiarazione di Giovanni apostolo riguardo agli scritti canonici … È però un fatto importante che Giovanni sia sopravvissuto di parecchi anni dal completamento della rivelazione divina nella Bibbia. Egli era nella condizione di poter distinguere, sulla base dell’autorità apostolica, i libri ispirati da quelli non ispirati in circolazione all’epoca tra le chiese. Se necessario, poteva essere interpellato su ogni questione che riguardava la divina autorità dei libri della Sacra Scrittura. L’intimità personale di Giovanni con Gesù, la familiarità con gli scritti dei suoi confratelli apostoli e degli altri, e noi possiamo aggiungere, la venerazione profonda per la gloria del Suo Maestro, della Sua persona e della Sua opera, lo rendevano idoneo più di tutti gli altri a tramandare alla chiesa l’intera Bibbia. Abbiamo evidenza positiva che neppure uno degli scritti successivi a quelli di Giovanni sia stato mai inserito nel canone del Nuovo Testamento …”.

Coloro che sono indicati con il termine improprio di “padri” della chiesa apostolica hanno citato copiosamente dai Vangeli, dalle Lettere e più tardi dall’Apocalisse.

Molti anni or sono, un gruppo di studiosi si incontrò a un ricevimento e durante la conversazione qualcuno fece una domanda alla quale nessuno dei presenti riuscì a rispondere. La domanda era: “Supponendo che il Nuovo Testamento fosse stato distrutto, e ogni copia fosse andata perduta alla fine del III secolo, sarebbe stato possibile ricostruirlo in base agli scritti dei ‘padri’ del secondo e del III secolo?”. La domanda meravigliò i presenti e nessuno rispose. Due mesi dopo, uno del gruppo visitò Sir David Dalrymple, che era presente a quel ricevimento, il quale, mostrandogli un tavolo coperto di volumi, gli disse: “Vedi questi libri? Ti ricordi la domanda sul Nuovo Testamento e la testimonianza dei padri della chiesa? Ebbene quella domanda mi ha incuriosito, e siccome possiedo tutte le opere esistenti degli esponenti principali della Chiesa del secondo e anche del III secolo, ho cominciato le mie ricerche e fino a ora ho trovato citato l’intero Nuovo Testamento, meno undici versetti”.

Questa dichiarazione rappresenta da sola un’evidenza del fatto che i libri del Nuovo Testamento dovevano già esistere, altrimenti nessuno avrebbe potuto citarli, e siccome lo stile e la lingua degli scritti dei padri apostolici sono permeati di verità bibliche, gli autori vivevano certamente nell’atmosfera del Nuovo Testamento. Alcuni di questi padri erano vissuti con alcuni contemporanei degli apostoli, e avevano avuto con loro contatti personali e comunione fraterna. Altri ancora avevano conosciuto personalmente alcuni apostoli. Origene di Alessandria d’Egitto, uno degli esponenti più noti del cristianesimo, nato nel 185 d.C., scrisse molti libri. La maggior parte è andata perduta, ma da quelli giunti fino a noi si possono ricavare due terzi del Nuovo Testamento.

Marcione, un eretico vissuto durante l’impero di Antonino Pio (138-161 d.C.), si appella a una regola di fede che consisteva del Vangelo e dell’“Apostolicon”. Quest’ultimo conteneva dieci epistole di Paolo che erano ritenute degne di autorità. Nel periodo successivo, altri esponenti del cristianesimo citano e si riferiscono particolarmente a vari libri del Nuovo Testamento come se già costituissero una raccolta autorevole di documenti sacri.

Tertulliano, un famoso scrittore cristiano nato nel 150 d.C. a Cartagine da un centurione romano, che aveva ricevuto una vasta istruzione nella filosofia pagana e si era convertito all’età di quarant’anni, attribuisce i quattro Vangeli a Matteo, Marco, Luca e Giovanni, e nelle sue opere conosciute riporta 2500 citazioni del Nuovo Testamento di cui 200 soltanto dal Vangelo di Giovanni. Possiamo quindi individuare, alla luce di quanto detto, una prova dell’esistenza di documenti delle “Scritture” riconosciuti come ispirati

Ireneo, originario dell’Asia Minore, nacque nel 130 d.C. Era stato discepolo di Papia e di Policarpo, a loro volta amici e discepoli dell’apostolo Giovanni. Quale privilegio! Era conosciuto soprattutto nella chiesa cristiana di Lione, in Gallia, la moderna Francia. Era infatti presbitero di quella chiesa durante il periodo della tremenda persecuzione sotto il regno di Marco Aurelio, imperatore romano. Il venerando vescovo di Lione, Fotino, morì in conseguenza delle sofferenze patite per la causa di Cristo, e Ireneo gli successe. I suoi scritti sono saturi dello stile e della lingua del Nuovo Testamento. Anche lui attribuisce i quattro Vangeli a Matteo, Marco, Luca e Giovanni, e riporta citazioni da quasi tutte le epistole di Paolo. Nelle sue opere si trovano 1200 riferimenti al Nuovo Testamento, dei quali 80 al Vangelo di Giovanni.

Alessandria, il grande centro letterario del Nord Africa, divenne la sede della cultura cristiana ed ebbe un posto preminente nel cristianesimo dei primi secoli. Nel 165 d.C. vi nacque Clemente, un famoso studioso e maestro che, come Tertulliano, si convertì al cristianesimo in età matura. Accettò come genuini i quattro Vangeli, e nei suoi scritti, che sono giunti fino a noi, troviamo 320 citazioni del Nuovo Testamento. Secondo la terminologia introdotta dagli studiosi di storia del cristianesimo, questi uomini possono essere classificati come “primi padri”, ma con quelli conosciuti come “padri apostolici” ci avviciniamo di più al periodo degli apostoli. Qual è la loro testimonianza?

Tre di essi, Clemente Romano, Papia e Policarpo, erano nati prima del 75 d.C.; Giovanni, “il discepolo che Gesù amava”, era vivente e come pastore presiedeva la comunità di Efeso. Andrea, che era andato in Asia Minore, e Filippo, che risiedeva a Ierapoli, forse erano ancora in vita. Gerusalemme era stata distrutta cinque anni prima, nel 70 d.C. Paolo aveva scritto tutte le sue epistole ed era stato martirizzato, e tutto il Nuovo Testamento, a eccezione degli ultimi scritti di Giovanni, era già in possesso della chiesa cristiana.

Tre di essi, Clemente Romano, Papia e Policarpo, erano nati prima del 75 d.C.; Giovanni, “il discepolo che Gesù amava”, era vivente e come pastore presiedeva la comunità di Efeso. Andrea, che era andato in Asia Minore, e Filippo, che risiedeva a Ierapoli, forse erano ancora in vita. Gerusalemme era stata distrutta cinque anni prima, nel 70 d.C. Paolo aveva scritto tutte le sue epistole ed era stato martirizzato, e tutto il Nuovo Testamento, a eccezione degli ultimi scritti di Giovanni, era già in possesso della chiesa cristiana.

Eusebio, il famoso storico del cristianesimo antico, che morì verso il 340 d.C., scrive di un certo Clemente e parla della sua morte nel 95 d.C. Clemente era vescovo di Roma nello stesso periodo in cui Giovanni era vescovo di Efeso. Clemente inviò una lettera ai corinzi, satura di espressioni tratte dal Nuovo Testamento. Non l’avrebbe potuta mai scrivere senza conoscere l’insegnamento degli apostoli concernente la vita e la morte del Signore Gesù Cristo. Questa lettera contiene parole di Pietro, Giacomo, Giovanni e Luca. Riporta alcune precise citazioni dalle epistole ai Romani, ai Corinzi, ai Tessalonicesi, agli Efesini, a Timoteo, a Tito, e riferimenti tratti dalle epistole di Giacomo, di Pietro, agli Ebrei, e dagli Atti degli apostoli. Anche questa è una prova dell’esistenza e del riconoscimento di cui godevano i libri che formano il Nuovo Testamento.

Policarpo, vescovo di Smirne, noto martire cristiano, era un discepolo di Giovanni. È particolarmente ricordato per la sua fermezza e il suo coraggio quando a ottantasei anni fu condotto davanti al proconsole romano di Smirne e gli venne concessa l’opportunità di rinunciare alla sua fede in Cristo. Mentre veniva preparato il rogo, replicò: “Sono ottantasei anni che Lo servo, ed Egli non mi ha fatto alcun torto. Come potrei bestemmiare il mio Re, il mio Salvatore?”. Fu arso vivo nel 156 d.C. Policarpo era nato circa nel 70 d.C., e dalla prima fanciullezza era stato educato nella fede cristiana. Il fatto di essere stato designato vescovo di Smirne è un’evidenza della sua pietà e delle sue qualità spirituali. Smirne era una delle sette chiese dell’Asia alle quali il Signore Gesù Cristo risorto indirizzò una lettera (Apocalisse 2:8); era situata vicino a Efeso, per lungo periodo il centro del ministerio di Paolo.

Benché l’apostolo fosse già morto al tempo della nascita di Policarpo, il suo ricordo e la sua influenza erano ancora sensibilmente presenti a Efeso. Perciò, con Policarpo abbiamo “l’anello più importante della catena” che ci lega ai primi documenti del Nuovo Testamento. Se i libri già esistevano, egli certamente ne era a conoscenza; se invece non li conosceva, la sua testimonianza doveva essere considerata inconfutabile.

Policarpo è stato l’autore di molte epistole dirette alle chiese vicine, che però sono andate tutte perdute tranne una, diretta alla chiesa dei Filippesi, giunta fino a noi a dimostrazione del fatto che Policarpo era a conoscenza del Nuovo Testamento. La lingua di questa lettera è modellata sulla terminologia delle Scritture, e prova efficacemente la conoscenza che l’autore aveva degli scritti sacri. In tutta la lettera, che richiede soltanto una lettura di dieci minuti, troviamo lo stile di Matteo, di Luca, di Giovanni, la lingua degli Atti degli Apostoli, delle lettere di Pietro e di quelle di Paolo ai Romani, ai Corinzi, ai Galati, ai Tessalonicesi, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, a Timoteo e a Tito. La lettera di Policarpo mostra chiaramente che il contenuto del Nuovo Testamento era nelle mani di uomini che vissero prima che l’ultimo degli apostoli morisse. Non vi sono altri documenti antichi la cui esistenza è chiaramente provata più di quelli del Nuovo Testamento. In verità, abbiamo una narrazione che ci spinge a credere “che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome” (Giovanni 20:31).

Concludiamo con un breve esame dell’evidenza e della testimonianza di un altro padre apostolico, Papia, che era vescovo della chiesa di Ierapoli, menzionata da Paolo in Colossesi 4:13. Questa città era situata a pochi chilometri da Laodicea e circa 150 chilometri a est di Efeso. Ci viene detto che l’apostolo Filippo abitava proprio là. Papia era un amico di Policarpo e sappiamo che era stato anche un discepolo di Giovanni. Scrisse un libro intitolato Spiegazione delle sentenze del Signore. Questo libro purtroppo è andato perduto, ma un certo numero di citazioni è stato preservato negli scritti di Ireneo e di Eusebio. Papia, contemporaneo delle figlie di Filippo, udì dalle loro labbra quanto il padre aveva narrato del periodo trascorso con il Signore. Riguardo Papia, Eusebio ha scritto:

Se m’imbattevo con chi avesse avuto consuetudine con gli anziani, cercavo di conoscere le loro sentenze, ciò che avevano detto Andrea o Pietro o Filippo o Giacomo o Giovanni o Matteo o qualche altro dei discepoli del Signore; ciò che dicevano Aristione e l’anziano Giovanni, discepoli del Signore. Io ero persuaso che il profitto tratto dalle letture non poteva stare a confronto con quello che ottenevo dalla parola viva e sonante… L’anziano diceva questo: ‘Marco, interprete di Pietro, scrisse con esattezza, ma senza ordine, tutto ciò che si ricordava delle parole e delle azioni del Signore… Marco non c’ingannò scrivendo secondo che si ricordava; ebbe questa sola preoccupazione: di nulla tralasciare di quanto aveva udito, e di non dire veruna menzogna… Matteo raccolse le sentenze di Gesù in lingua ebraica’. Papia si serve delle testimonianze tratte dalla prima lettera di Giovanni e dalla prima di Pietro; racconta inoltre l’episodio di una donna… che si trova nel Vangelo degli Ebrei. (Da Eusebio, Storia Ecclesiastica, III:29:4, 15, 16)

Non possiamo, dunque, esser certi che il nostro Nuovo Testamento non è frutto di fervida immaginazione? Sarebbe stata necessaria più fantasia per inventare la personalità e la storia di Gesù Cristo che per mettere per iscritto, guidati da ispirazione divina e senza lo scopo di sedurre, la narrativa e i precetti delle Scritture. La Bibbia è una fortezza invulnerabile in cui la nostra fede nel Dio vivente e nel Suo Figlio Gesù Cristo, il nostro Redentore, è al sicuro dagli attacchi.

Tratto da “Il Libro dei Libri” di Francesco Toppi

Risorse Aggiuntive

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