L’Antico Testamento parla della creazione del mondo e dell’uomo, della sua caduta e della promessa di redenzione che già additava alla “progenie della donna” (Genesi 3:15), che avrebbe sconfitto il serpente antico, il diavolo, per offrire salvezza al mondo. Questa prima parte della Bibbia, inoltre, descrive la costituzione e la conservazione della nazione di Israele. Per adempiere la Sua promessa di redenzione, Dio scelse Abraamo e la sua progenie, il popolo d’Israele, nel quale sarebbe nato Colui che avrebbe benedetto il mondo intero (Genesi 12:2, 3). Una volta stabilito come popolo, da Israele Dio suscitò una famiglia attraverso cui sarebbe venuta la benedizione promessa: la famiglia del Re Davide (Salmo 89:3, 4; Isaia 11:1-10). I libri che compongono l’Antico Testamento includono resoconti storici, elenchi di leggi, comandamenti e prescrizioni, poesie, canti, profezie e altri tipi di scritti. Questi resoconti non sono stati raccolti soltanto perché si pensava avessero una rilevanza di carattere storico, ma soprattutto perché attestavano l’opera di Dio nel Suo popolo e perché, attraverso ombre e figure di carattere tipologico, questi scritti additassero il Figlio di Davide, la progenie d’Abramo.

Sommario

Gli scrittori dell’Antico Testamento

I primi cinque libri delle Scritture, o Pentateuco (pente, cinque; teuchos, libri), in origine furono scritti su di un unico rotolo, secondo l’uso ebraico, e così vengono usati ancora oggi dagli Ebrei nelle sinagoghe. La suddivisione del Pentateuco in cinque libri risale al tempo di Esdra, intorno al 450 a.C. I titoli dei libri del Pentateuco, come li abbiamo nella nostra Bibbia oggi, sono di origine greca e in realtà non ci dànno chiaramente l’idea del loro contenuto. In Palestina, nella città di Nablus, la moderna Sichem, esiste un piccolo nucleo sopravvissuto, poche centinaia di persone soltanto, dell’antica stirpe dei Samaritani, con i quali i Giudei non hanno relazioni (Giovanni 4:9). Questo gruppo ancora oggi osserva la festa della Pasqua e la celebra annualmente sulle pendici del monte Gherizim, secondo l’antico rito indicato dalle Scritture. I Samaritani possiedono una copia molto antica del Pentateuco, scritta in caratteri fenici, quindi non una versione. Essi custodiscono il rotolo con grande venerazione, e soltanto recentemente hanno permesso l’accesso a questo documento per ricavarne copie fotostatiche.

Il Pentateuco, al completo, fin dai tempi più remoti, fu chiamato dagli Ebrei “la legge”, o “la legge di Mosè”. Il Signore Gesù e gli scrittori del Nuovo Testamento frequentemente hanno citato passi del Pentateuco. Quando i libri furono completati, Mosè ordinò che fossero custoditi nell’arca (Deuteronomio 31:24, 26). Forse questa era la stessa copia trovata da Chilchia, sommo sacerdote, settecentocinquanta anni dopo tra le macerie del tempio (II Re 22:8; II Cronache 34:14). Mosè ha scritto questi cinque libri, come appare chiaramente dalle evidenze interne dei testi stessi (Deuteronomio 31:9, 24), dalla testimonianza di Giosuè (Giosuè 1:7), di Davide (I Re 2:3), di Salomone (I Re 8:53, 56), di altri re e, nel periodo del Nuovo Testamento, Gesù stesso (Giovanni 5:45, 46), Stefano (Atti 7), Pietro (Atti 3:22-26) e Paolo (I Corinzi 9:9) affermano che Mosè ha scritto il Pentateuco. Autori ebraici antichi e moderni, e alcuni appartenenti ad altre religioni, come Maometto, o pagani come Tacito, parlano di Mosè come lo scrittore del Pentateuco.

I primi otto versetti del capitolo conclusivo del Deuteronomio furono probabilmente scritti da Giosuè, poiché parlano della morte di Mosè. Gli ultimi quattro versetti sono stati probabilmente scritti da Esdra, che si crede abbia riunito i libri e sia stato il compilatore dell’Antico Testamento, con l’eccezione dei libri di Neemia e Malachia. Parlando dei libri storici da Giosuè a Ester, non si può affermare con certezza chi li abbia scritti. Sicuramente Giosuè scrisse il libro che porta il suo nome, e Samuele scrisse Giudici e Rut. I profeti Samuele, Gad e Natan scrissero i libri di Samuele. Esdra avrebbe scritto i libri dei Re e delle Cronache, dopo il ritorno dei Giudei dalla cattività babilonese. Neemia scrisse il libro che porta il suo nome e forse Mardocheo scrisse il libro di Ester. L’autore di alcuni di questi libri può essere incerto, ma la cosa degna di nota è che mentre altri libri, come quello del Giusto (Giosuè 10:13), i libri di Natan e Gad (I Cronache 29:29), il libro delle gesta di Salomone (I Re 11:41) e i libri delle Cronache dei re d’Israele e di Giuda (I Re 14:19; 15:7) sono andati perduti, questi invece sono stati preservati attraverso i secoli. Perché? Perché sono i libri per i quali Dio ha guidato scrittori ed editori, e che dovevano al tempo opportuno essere una parte dell’unico Libro, delle Sacre Scritture.

Dei centocinquanta salmi, settantatré sarebbero stati scritti da Davide; ventisette da Eman, Asaf, dai figli di Core e altri, mentre cinquanta sono anonimi. Sono l’espressione di esperienze personali, il palpito del cuore di uomini in distretta, nel gaudio, nel dolore, mentre manifestavano il loro sentimento a Dio. I Proverbi sono stati scritti da Salomone, anche se il libro include testi di altri scrittori. Il libro di Giobbe è il libro più antico della Bibbia, e che sia stato scritto prima di Mosè è provato dal fatto che mai nelle sue lunghe discussioni sui problemi della vita si faccia menzione della legge mosaica. L’ambiente del libro di Giobbe appartiene a un periodo forse anteriore ai giorni di Abraamo, se consideriamo che il testo fa riferimento alla più antica forma di idolatria, l’adorazione dei corpi celesti, e contiene una frequente ripetizione del nome divino “l’Altissimo”, propria del periodo patriarcale.

L’Ecclesiaste e il Cantico dei Cantici furono scritti da Salomone, il saggio re d’Israele. Per i profeti, non nutriamo alcun dubbio che i testi siano stati scritti dagli uomini con il cui nome i libri sono indicati. Questi hanno proclamato verbalmente il loro messaggio al popolo, e poi hanno fissato nella forma scritta le parole pronunciate a beneficio delle future generazioni. Nei libri profetici vi sono, però, capitoli che sono stati scritti da altri. Per esempio, nel libro di Geremia troviamo capitoli biografici sulla vita del profeta, scritti probabilmente dal suo amico e segretario, il pio Baruc.

Alcuni affermano che non traiamo un particolare profitto da questi libri dell’Antico Testamento, poiché non sembrano avere alcuna diretta applicazione ai problemi che affrontiamo ai giorni nostri. A tale obiezione possiamo rispondere con le parole di Paolo a Timoteo: “Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare” (II Timoteo 3:16; Vers. Diodati). L’apostolo parlava particolarmente dell’Antico Testamento. Questi libri rivelano Dio, la Sua santità, la Sua misericordia, la Sua fedeltà, la Sua potenza, la Sua pazienza, i Suoi metodi in relazione al popolo d’Israele. Lo rivelano, quindi, come Dio, il Sommo Pastore; Dio, il Dottore; Dio, il Dispensatore; Dio, la nostra bandiera e la nostra pace; Dio, l’Onnipresente. È motivo di grande benedizione, quindi, sapere che l’Eterno, Colui che si è rivelato a un popolo, rimane lo stesso per ogni nazione, nelle medesime circostanze e condizioni.

Prendiamo in esame alcuni di questi libri per trovare ciò che è utile per noi. Il libro dei Giudici è una tremenda testimonianza del peccato e della malvagità, del crimine e dell’immoralità, dell’idolatria e dell’allontanamento da Dio. Ci parla del giudizio divino su Israele a causa di questi peccati, e manifesto nell’oppressione del popolo stesso da parte di altre nazioni; ma ci mostra, altresì, che quando esso, pentito, invoca l’Eterno, Dio si volge nuovamente verso di esso benedicendolo e suscitando in Israele un liberatore per sottrarlo alle angherie dei nemici. In nessun altro tipo di letteratura, tranne che nei Salmi, troviamo invocazioni così accorate rivolte dagli uomini a Dio, né la manifestazione dei loro desideri, delle loro aspirazioni, del loro anelito verso il Signore, della confessione della loro debolezza e del loro peccato, della riverenza verso Dio e la Sua legge. Per esempio, già dal titolo del Salmo 51 si può comprendere che il Re Davide lo scrisse dopo il suo grave peccato. Alcuni studiosi non credono che Davide ne sia l’autore. Ma non ha molta importanza. Qualcuno l’ha scritto, con buona probabilità un ebreo che aveva grandemente peccato due o tremila anni or sono. Rifletteteci un attimo: forse il re Davide o qualcun altro si è seduto allo scrittoio e ha composto un salmo penitenziale per farlo cantare ad altri? No! Questo salmo è la confessione genuina di un cuore peccatore ma penitente. Allora come sarà giunto a scriverlo? Quando ci inginocchiamo e confessiamo a Dio i nostri errori, con le nostre parole, non prendiamo certo a scrivere le parole che abbiamo pronunciato! Non si può spiegare il perché quel penitente l’abbia fatto, tranne che Dio l’abbia spinto a scrivere, ed egli certamente neanche immaginava che le sue parole sarebbero state lette e cantate fino a oggi! Come mai quelle parole sono state conservate dopo la sua morte? Come mai qualcuno le ha copiate? Come sono state incluse nel libro dei Salmi molto tempo dopo? Chi può dirlo? Eppure è arrivato anche il giorno in cui queste commoventi parole di confessione sono state tradotte in altre lingue: in greco, in siriaco, in latino, nelle lingue moderne, e ora nelle lingue e nei dialetti dell’Africa, dell’Asia e delle isole del mare.

Il canone dell’Antico Testamento

Abbiamo come e da chi sono stati scritti i libri dell’Antico Testamento. Ora la nostra attenzione si sofferma su un’altra questione rilevante: come sono stati raccolti? Qual è stato il criterio adottato per riconoscere le Scritture ispirate da Dio?

Si ritiene per certo che Esdra, sacerdote e scriba, sia stato l’autore della prima raccolta di questi scritti sacri. Quando gli Ebrei tornarono in Palestina, dopo i settanta anni di cattività in Babilonia, si risvegliò un interesse per gli scritti sacri (Neemia 8) e i Giudei credono che proprio in quel periodo sia stata istituita la cosiddetta Grande Sinagoga. Comprendeva 120 membri, con Esdra posto a primo presidente; l’attività del Consiglio consisteva nel raccogliere, compilare e preservare per il mondo intero tutti i manoscritti sacri. Se ciò è vero, ed esistono buone ragioni per crederlo, possiamo essere certi che Dio non soltanto ispirò la forma scritta di questi libri, ma guidò altresì la loro preservazione e la loro identificazione. Abbiamo visto nel capitolo precedente come alcuni libri, quali quelli di Gad e Natan, siano andati perduti e, nel primo capitolo, come i Giudei abbiano suddiviso e raggruppato gli scritti ispirati secondo un ordine diverso da quello seguito nella nostra Bibbia oggi.

La raccolta di questi libri è stata in seguito indicata con il termine canone delle Scritture. Canone è una parola greca che significa “canna”, bastone, regola. I Greci chiamavano il regolo del falegname, o il metro, un canone. Quindi, la parola è stata usata in senso lato per stabilire una norma e una regola morale, di lingua, di arte, di condotta. Quando l’apostolo Paolo esorta i Galati a camminare “secondo questa regola” (Galati 6:16), usa il termine canone. Perciò, il “canone delle Scritture” sta a indicare che questi testi erano stati riconosciuti affidabili una volta per sempre e distinti da tutti gli altri perché potessero “servire come norma di fede”.

Giuseppe Flavio, il famoso storico ebreo nato in Palestina nel 37 d.C. (al tempo della conversione di Paolo), profondo conoscitore della letteratura ebraica, scriveva: “Presso di noi non c’è una massa senza numero di libri, tra di loro in disaccordo e in opposizione; ne abbiamo ventidue che racchiudono la storia di tutte le età passate e sono meritatamente creduti divini. Di essi, cinque sono di Mosè e contengono le leggi e la tradizione dell’umanità dai primordi fino alla morte dello stesso Mosè: questo spazio di tempo comprende circa tre millenni. Dalla morte di Mosè a quella di Artaserse, che è stato il re dei Persiani dopo Serse, i profeti succeduti a Mosè scrissero in tredici libri le opere da loro compiute. Gli altri quattro contengono inni a Dio e precetti utili alla vita umana. Da Artaserse fino a noi è stata anche scritta la storia di ogni singola epoca; ma i libri rispettivi non sono stati giudicati degni della fede che godevano quelli anteriori, perché la successione dei profeti è meno esatta. La prova evidente della venerazione che abbiamo per i nostri libri si desume da questo: che sebbene tanti secoli siano trascorsi, nessuno mai ha osato aggiungervi, togliervi, cambiarvi mezza parola” (Antichità Giudaiche).

Questi ventidue libri, come i Giudei li dividevano, corrispondono ai trentanove libri dell’Antico Testamento, come li abbiamo nella Bibbia evangelica.

Le Bibbie cattolico-romane, e occasionalmente qualche Bibbia evangelica, hanno posto tra l’Antico e il Nuovo Testamento un certo numero di libri conosciuti come apocrifi. Questi libri, definiti “deuterocanonici” dalla chiesa cattolico-romana, cioè aggiunti ai canonici, sono entrati a far parte della Bibbia ufficiale cattolica l’8 aprile 1546 con decreto del Concilio di Trento. Sono antichi libri giudaici che, come abbiamo visto, Giuseppe Flavio afferma non facessero parte del Canone delle Scritture e che noi non accettiamo come parte della Parola di Dio ispirata. Per la maggior parte, sono libri che rivestono un certo interesse; due, i libri dei Maccabei, possiedono un valore storico. I libri apocrifi (cioè, di “significato oscuro”) sono: aggiunte al I e II Maccabei, Tobia, Giuditta, aggiunte al libro di Ester, III Esdra, aggiunte al libro di Daniele (Susanna, Bel e il dragone), la preghiera di Manasse, Baruc, la lettera di Geremia, l’Ecclesiastico, la Sapienza di Salomone. Che questi libri non siano divinamente ispirati e non possano essere considerati parte del canone delle Scritture, si deduce dai seguenti fatti:

  1. Nessuna porzione degli apocrifi è stata scritta in ebraico, ma tutti in greco, da autori ebrei, e non hanno mai fatto parte del canone palestinese. A questo proposito Girolamo affermava: “La chiesa li legge per trarne esempio di vita e istruzione, ma non li utilizza per stabilire qualche dottrina”.
  2. Sono stati scritti oltre un secolo dopo la chiusura del canone dell’Antico Testamento.
  3. Non sono mai stati riconosciuti dai Giudei o dai loro scrittori come minimamente ispirati.
  4. Di circa duecentottanta dirette citazioni dell’Antico Testamento fatte da Gesù e dagli scrittori del Nuovo Testamento, neanche una è tratta dai libri apocrifi.

Anche un bambino potrebbe notare chiaramente la differenza tra gli apocrifi e la Bibbia ebraica relativamente allo stile, al carattere e al soggetto. Cirillo di Gerusalemme, nato nel 315 d.C. circa, afferma che anche ai suoi giorni i libri apocrifi non erano stati inclusi nella versione dei “Settanta”, la traduzione greca dell’Antico Testamento. Non esiste il minimo dubbio, dopo una esauriente e accurata analisi di molti studiosi per centinaia di anni, che la nostra Bibbia evangelica nella versione attuale contenga i libri dell’Antico Testamento sostanzialmente come furono lasciati dagli scrittori ispirati. Gesù rimproverò i Farisei e gli scribi per la loro ipocrisia e cecità spirituale, tuttavia non furono mai considerati colpevoli di aver corrotto il testo sacro. Gli scribi copiavano i libri sacri in maniera così accurata che difficilmente commettevano qualche errore, e i Sadducei, che seguivano soltanto il Pentateuco, non furono mai accusati di aver apportato la sia pur minima correzione al testo sacro. L’ebraico è la lingua in cui è stato scritto l’Antico Testamento per quasi la sua interezza. Tuttavia, dopo la cattività babilonese, la lingua ebraica mutò gradualmente, come l’italiano moderno è diverso da quello del Duecento. Molti Giudei del tempo di Neemia non riuscivano più a leggere le Scritture in ebraico, perciò quando si procedeva alla lettura pubblica dovevano essere tradotte in aramaico e commentate. Un riferimento a questo costume lo troviamo in Neemia 8:1-8. Il versetto 8 riporta: “Essi leggevano nel libro della legge di Dio in modo comprensibile; ne davano il senso, per far capire al popolo quello che leggevano”. Queste spiegazioni erano date nella lingua parlata, in aramaico appunto. Era la lingua internazionale dell’impero persiano, che risentiva di qualche mescolanza con l’ebraico. L’aramaico era la lingua parlata in Palestina al tempo di Gesù, e quindi rappresentava la lingua madre del Maestro. Ricorderete le parole usate spesso da Gesù: “Talità cum” (Marco 5:41); “Effatà” (Marco 7:34); “Eloì, Eloì, lamà sabactàni” (Marco 15:34). Queste particolari espressioni sono costituite da parole aramaiche apparse integralmente nel testo biblico.

Ancora oggi nelle sinagoghe gli Ebrei leggono dall’antico testo ebraico, e non da un libro come il nostro, ma da un rotolo che deve essere aperto tutte le volte che viene usato. L’antica scrittura ebraica era costituita di sole consonanti; ad esempio per scrivere Daniele si scriveva DNL. Ma nel momento in cui si doveva leggere DNL, come si sarebbe pronunciata la parola? Forse “Daniele”, ma anche in altri modi. Perciò, per preservare il suono esatto e la pronuncia corretta delle parole, alcuni noti studiosi ebrei idearono un sistema di punti e segni che indicavano le vocali corrispondenti da inserire sopra o sotto le consonanti. Questi studiosi furono chiamati Masoreti, dal termine ebraico Masorah, che significa “tradizione”. L’opera è stata compiuta tra il 600 e il 900 d.C.

Abbiamo appena parlato dell’aramaico, che gli Ebrei parlavano dal periodo successivo alla cattività, e del fatto che anche ai giorni di Gesù Cristo erano necessarie traduzioni e spiegazioni del testo ebraico letto in pubblico. Alcune di queste parafrasi sono state fissate per iscritto. I commenti o interpretazioni dell’Antico Testamento furono chiamate Targum (al plurale: Targumim). Ne esistono oggi sette, tre sul Pentateuco, uno sui profeti, e tre su altre porzioni dell’Antico Testamento. I più conosciuti sono di Onkelos, di Jonathan Ben Uziel, e il Targum di Gerusalemme. I targumim sono molto interessanti e di grande aiuto per stabilire con esattezza l’originale. Provano chiaramente l’esistenza di un testo precedente.

Quale “Bibbia” utilizzavano Paolo, gli altri apostoli, chi man mano si convertiva, i cristiani dell’èra apostolica in Asia Minore, in Egitto, in Grecia e in Italia? Naturalmente possedevano soltanto l’Antico Testamento, perché il Nuovo Testamento non si era ancora formato. Non potevano leggere il testo ebraico, anche se molti di loro erano Ebrei, perché la lingua dei Giudei era l’aramaico. Molti Giudei si erano trasferiti nei paesi appena indicati e parlavano la lingua locale. Nella Sua provvidenza, Dio aveva meravigliosamente preparato la via perché la verità si diffondesse. Con le conquiste del grande generale macedone Alessandro il Grande, e il sorgere dell’impero greco che si estendeva in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo orientale, il greco divenne la lingua ufficiale dal 336 a.C., cosicché, quando il Nuovo Testamento fu scritto direttamente in greco, vaste moltitudini furono in grado di comprenderlo. Ma come poterono essere letti i libri dell’Antico Testamento?

Tra i Giudei di lingua greca ve ne erano molti che seguivano devotamente la fede dei loro padri. Credevano nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Perciò si interessarono alla traduzione delle Scritture ebraiche in greco, destinata a diventare la prima versione dell’Antico Testamento. L’Antico Testamento greco fu definito dei “Settanta”, generalmente indicato in numeri romani “LXX”. Questo titolo deriva dal fatto che sarebbero stati settantadue anziani a compiere l’opera di traduzione. Esiste un racconto leggendario in una lettera scritta da un certo Aristea, che parla di questa versione realizzata da settantadue Ebrei, sei per ogni tribù, i quali, nell’isola del Faro, davanti ad Alessandria, la completarono in settantadue giorni. La realtà si fonde così bene con la leggenda che è difficile appurare la verità, ma sta di fatto che l’opera fu portata a termine dagli Ebrei alessandrini tra il 285 e il 132 a.C.

Divenne la versione usata da un vasto numero di credenti. La versione dei Settanta era il libro delle “Sacre Scritture” che Timoteo studiò nella sua fanciullezza. È anche l’Antico Testamento che i credenti di Berea esaminarono “per vedere se le cose stavano così” (Atti 17:11).

Quando Paolo, nelle sue epistole scritte in greco, citava l’Antico Testamento, usava la versione dei Settanta, parola per parola. Gesù stesso era familiare con questa versione, che fu usata anche dai maggiori esponenti del cristianesimo nei primi secoli dell’èra cristiana.

Tratto da “Il Libro dei Libri” di Francesco Toppi

Risorse Aggiuntive

Articoli sull’importanza dell’Antico Testamento:

Testi per lo studio dell’Antico Testamento: