Scrittore

Daniele

Tema

La sovranità di Dio nella storia

Datazione del testo

536–530 a.C.

Contesto

Daniele, il cui nome significa “Dio è (il mio) Giudice”, è sia il personaggio principale sia lo scrittore del libro che porta il suo nome. Che Daniele sia scrittore di almeno parte del libro è menzionato chiaramente in 12:4. Daniele, inoltre, fa riferimenti a sé stesso diverse volte nei capp. 7–12 e Gesù attribuisce il libro al “profeta Daniele” (Mt 24:15), quando cita da 9:27.

Il libro documenta degli eventi che vanno dalla prima invasione di Gerusalemme (605 a.C.) da parte del re Nabucodonosor di Babilonia, al terzo anno del re Ciro di Persia (536 a.C.), che conquistò Babilonia nel 539 a.C. Il contesto storico del libro quindi è a Babilonia durante i 70 anni di cattività dei Giudei, profetizzati da Geremia (cfr. Gr 25:11; vd. introduzione a Esdra e Geremia per dei brevi particolari riguardanti le fasi della cattività giudaica durante questo periodo di tempo). Daniele, molto probabilmente, era adolescente quando ebbero inizio gli eventi del cap. 1 e ben oltre gli 80 anni quando ebbe le visioni riportate nei capp. 9–12. Potrebbe essere vissuto fino a circa il 530 a.C., questo significherebbe che terminò il libro da anziano, durante l’ultima decade della sua vita. Una situazione simile a quella dell’anziano Giovanni che completò il libro di Apocalisse durante l’esilio sull’isola di Patmos. I critici moderni, che considerano il libro uno pseudepigrafo (cioè scritto da qualcun altro che usava lo pseudonimo di Daniele) del II se colo a.C. sono influenzati da teorie e supposizioni errate circa la natura stessa della profezia e degli scritti apocalittici della Bibbia (i passi che contengono avvertimenti circa precisi eventi degli ultimi tempi).

Quanto conosciamo del profeta Daniele come persona deriva quasi interamente dal suo libro (cfr. Ez 14:14, 20), sebbene le sue profezie siano citate, o menzionate, più di ogni altro libro dell’Antico Testamento Daniele era forse un discendente del re Ezechia (cfr. 2R 20:17, 18;

Is 39:6, 7). Proveniva certamente da una famiglia colta e di alto rango (1:3-6), infatti, il re Nabucodonosor non avrebbe scelto giovani stranieri di ceto basso per la sua corte reale (1:4, 17). Daniele era certamente un giovane timorato di Dio: anche a Babilonia, in un ambiente corrotto, “prese in cuor suo la decisione di non contaminarsi con i cibi del re e con il vino che il re beveva … Dio diede di conoscere e comprendere ogni scrittura e ogni saggezza. Daniele aveva il dono di interpretare ogni specie di visioni e di sogni”. La prosperità di Daniele a Babilonia era dovuta:

(1) alla sua integrità morale e coerenza spirituale dimostrate;

(2) alla sua profonda dedizione alla preghiera, al digiuno (privarsi di cibo per un tempo, dedicando maggiore attenzione alla devozione spirituale) e alla meditazione della Parola di Dio;

(3) alla sua saggezza e al dono ricevuto dal Signore per interpretare sogni e visioni;

(4) all’opera di Dio nella sua vita, che lo portò a coprire posizioni di grande onore e responsabilità (2:46-49; 6:1-3).

Daniele è uno degli ultimi profeti dell’Antico Testamento Soltanto Aggeo, Zaccaria e Malachia vengono dopo lui nella sequenza storica dei profeti dell’Antico Testamento Sebbene vivessero durante lo stesso periodo storico, Daniele era più giovane di Geremia (che profetizzò a Gerusalemme per gran parte della sua vita) e aveva probabilmente la stessa età di Ezechiele (che arrivò a Babilonia dopo Daniele, ma visse lì per buona parte dello stesso periodo).

Scopo

Gli scritti e le profezie di Daniele raggiunsero due scopi fondamentali:

(1) rassicurare il popolo di Dio, in cattività a Babilonia (come conseguenza della sua ribellione spirituale), che quella deportazione non era il suo destino finale;

(2) trasmettere alle generazioni future le visioni profetiche della sovranità di Dio (quale manifestazione della Sua autorità assoluta) sulle nazioni e il trionfo finale del Suo regno sulla terra. Questo duplice scopo è dimostrato in tutta la vita di Daniele e dei suoi tre amici (Anania, Misael e Azaria) ed è illustrato nel messaggio e nel ministerio profetico di Daniele. Il libro presenta con grande audacia la promessa di Dio di preservare, proteggere e restaurare il Suo popolo, attraverso cui avrebbe rivelato Sé stesso e i Suoi piani a tutte le nazioni. Una promessa certa, come il regno futuro del Messia, che durerà per sempre.

Sommario

Lo scritto di Daniele è un insieme di testimonianza personale, storia e profezia. La sua forma letteraria corrisponde generalmente alla categoria della letteratura apocalittica: il suo messaggio profetico rivela i piani e gli avvertimenti di Dio circa gli eventi degli ultimi tempi. Tutto ciò si sviluppa:

(1) attraverso visioni, sogni e simbolismi;

(2) allo scopo di incoraggiare il popolo di Dio durante un periodo critico della sua storia; (3) per ravvivare in Israele la speranza del trionfo finale del regno di Dio e della Sua volontà sulla terra (vd. introduzione ad Apocalisse).

Il libro si divide in tre sezioni principali.

(1) Il cap. 1 è scritto in ebraico e presenta il contesto storico del libro.

(2) I capp. 2–7 sono scritti in aramaico. Questa sezione descrive l’ascesa e la caduta di quattro grandi regni mondiali, che si susseguono, seguiti dall’instaurazione del regno di Dio quello che durerà per sempre (vd. capp. 2, 7). Questi capitoli enfatizzano la sovranità di Dio (l’autorità assoluta e la potenza di cui dispone per adempiere i Suoi piani) e il Suo coinvolgimento negli eventi individuali e internazionali attraverso la descrizione di situazioni ed esempi specifici. Questa sezione comprende: (a) l’ascesa di Daniele a una posizione di influenza nella corte del re Nabucodonosor (cap. 2); (b) qualcuno dall’aspetto di “un figlio degli dèi” che era con i tre amici di Daniele nella fornace ardente (cap. 3); (c) la demenza temporanea di Nabucodonosor come giudizio di Dio (cap. 4); (d) Daniele al banchetto di Baldassar, che annuncia pubblicamente la fine del regno babilonese (cap. 5); (e) la liberazione miracolosa di Daniele dalla fossa dei leoni (cap. 6); (f) la visione dei quattro regni mondiali successivi, giudicati dal “Vegliardo” (cioè Dio stesso, cap. 7).

(3) Nei capp. 8–12, Daniele scrive nuovamente in ebraico e rappresenta delle rivelazioni insolite e degli incontri angelici riguardanti: (a) il dominio di altre nazioni sul popolo ebreo nel futuro (capp. 8–11); (b) il periodo di settanta “settimane” come il tempo fissato da Dio per il pieno compimento della missione del Messia (Gesù Cristo) a favore del popolo ebreo nel corso della storia (cap. 9); (c) la sua liberazione dalla persecuzione e dalla sofferenza alla fine dei tempi.

I messaggi profetici di Daniele riguardano due dimensioni temporali:

(1) un futuro prossimo;

(2) un futuro più remoto (sebbene queste due dimensioni spesso si combinino).

Infatti, alcune delle profezie hanno un duplice significato, riguardante sia il futuro prossimo sia quello più lontano. Per esempio, nei capp. 8 e 11 Daniele profetizza su Antioco IV Epifane (un sovrano dell’Impero Seleucide una delle quattro principali divisioni dell’Impero greco dopo la morte di Alessandro Magno), che profanò (disonorò attraverso atti estremamente dissacranti) il tempio di Gerusalemme nel 168 a.C. Allo stesso tempo, Daniele profetizzava anche dell’anticristo dei tempi della fine (8:23-26; 11:36-45; cfr. Ap 13:1-10). Questa interazione del presente e del futuro allo stesso tempo è tipica della profezia biblica, ma è particolarmente evidente nel libro di Daniele. Il Signore rivela a Daniele che il pieno significato delle profezie circa un futuro più remoto (avvenimenti ancora non verificatisi anche rispetto a oggi) deve essere mantenuto segreto fino “al tempo della fine” (12:4, 9). Durante quel tempo Dio darà una saggezza speciale alle persone rimaste fedeli e spiritualmente pure, che avranno speso la propria vita dipendendo da Lui per ricevere sapienza e intelligenza, proprio come fece Daniele (12:3, 10).