Scrittore

Anonimo

Tema

Perché il giusto soffre?

Datazione del testo

Incerta

Contesto

Il racconto di Giobbe è classificato tra i libri poetici dell’Antico Testamento perché quasi tutto il testo è redatto in forma poetica. Il libro, inoltre, parla della saggezza ed esamina in modo approfondito le domande che più frequentemente si pone l’uomo e a cui non riesce a dare risposta. Sebbene il racconto sia scritto in forma poetica, si basa sulla storia di un uomo realmente esistito (Ez 14:14, 20) e su fatti realmente accaduti (Gm 5:11). La storia è ambientata nella “terra di Uz” (1:1), divenuta poi terra di Edom (che dovrebbe trovarsi a sud-est del Mar Morto oppure nell’Arabia settentrionale; cfr. La 4:21). Ciò significa che l’ambiente storico del racconto di Giobbe è più arabo che israelita.

Nel leggere il libro di Giobbe occorre considerare due diverse date:

(1) quella in cui vissero i personaggi e si svolsero gli eventi;

(2) quella in cui il testo fu redatto. Molti elementi fanno credere che Giobbe sia vissuto ai tempi di Abraamo o pochi anni prima di lui (2000 a.C. ca.).

I dati più significativi possono essere così riassunti:

(1) Giobbe visse ancora 140 anni dopo gli accadimenti presentati nel libro (42:16), quindi, probabilmente, visse in tutto circa 200 anni (Abraamo ne visse 175);

(2) la ricchezza di Giobbe, nel libro, è valutata in base alla quantità e qualità del bestiame (1:3; 42:12);

(3) Giobbe agisce da sacerdote nell’ambito della sua famiglia al pari di Abraamo, Isacco e Giacobbe (1:5);

(4) Giobbe, inoltre, è a capo della sua famiglia come patriarca, ossia come l’uomo più anziano a cui tutto il gruppo familiare è sottomesso e fa riferimento. Questa struttura sociale è tipica del tempo di Abraamo (1:4, 5, 13);

(5) le razzie dei Sabei (1:15) e dei Caldei (1:17) avvengono ai tempi di Abraamo;

(6) il nome con cui Dio è comunemente definito durante il periodo dei patriarchi (Abraamo, Isacco e Giacobbe) è “El-Shaddai” (l’Onnipotente), usato ben 31 volte nel libro di Giobbe;

(7) l’assenza di riferimenti alla storia e alla legge degli Israeliti fa pensare che le vicende narrate siano accadute in un periodo antecedente la vita di Mosè (prima del 1500 a.C.). Tre sono le ipotesi più attendibili sulla data di stesura del libro.

Quindi potrebbe essere stato scritto:

(1) durante l’era patriarcale (intorno al 2000 a.C. nel periodo di Abraamo, Isacco e Giacobbe), forse da Giobbe stesso, poco dopo gli eventi descritti nel testo;

(2) ai tempi di Salomone o poco dopo (950–900 a.C. ca.), perché la forma e lo stile letterario dello scritto sono simili ai libri poetici di quel periodo;

(3) durante il periodo dell’esilio in Babilonia (ca. 586–538 a.C. vd. introduzione a Esdra), quando il popolo di Dio, afflitto dalla schiavitù, si domanda il perché delle proprie grandi sofferenze. Lo scrittore è anonimo, ma potrebbe essere Giobbe stesso o qualcuno molto informato sulla sua storia, grazie alla conoscenza di fonti scritte o di una tradizione orale dettagliata. Queste notizie sarebbero state poi recuperate e usate sotto ispirazione divina per redigere il libro come lo conosciamo oggi. Alcune parti del testo devono essere state scritte sotto diretta rivelazione divina (ad es. 1:6; 2:10).

Scopo

Il libro di Giobbe affronta sotto ogni aspetto l’antico quesito: “Se Dio è buono e giusto, perché permette a persone veramente rette – come Giobbe (1:1, 8) – di soffrire così tanto?”. Nella sua ricerca, lo scrittore rivela le seguenti verità:

(1) come nemico di Dio, Satana deve chiedere a Lui il permesso di infliggere dei mali a qualcuno. Il Signore può permette questo per provare la vera natura della fede di un uomo integro. Nel caso di Giobbe, poiché questi rimase fedele al Signore anche quando non ebbe alcun motivo apparente per continuare a esserGli consacrato (dal momento che la sua salute non ne traeva giovamento né tantomeno il suo benessere materiale), la grazia di Dio si manifestò liberandolo dalle sue afflizioni e ristabilendolo in una condizione migliore della precedente;

(2) l’opera di Dio e le Sue motivazioni non possono essere comprese appieno dalla mente dell’uomo, che è limitata. Come uomini, non vediamo le cose dalla stessa prospettiva di Dio, perciò abbiamo bisogno che Egli ci riveli, passo dopo passo, il Suo piano per noi (37:5; cfr. De 29:27);

(3) il vero fondamento della nostra fede non è la benedizione di Dio in sé per sé, né la comprensione di quanto accade intorno a noi. La nostra fede si basa invece sulla completa dipendenza da Dio e sulla rivelazione che Egli ci ha dato di Lui (soprattutto attraverso la Sua Parola);

(4) alle volte il Signore permette a Satana di provare gli uomini integri per rafforzare la loro fede e purificare la loro vita. Allo stesso modo in cui il fuoco purifica l’oro e lo rende più prezioso, (23:10; cfr. 1P 1:6, 7), questo tipo di prova spirituale produce integrità (carattere morale) e umiltà nel popolo di Dio (42:1-10);

(5) sebbene talvolta i piani del Signore possano sembrare oscuri e dolorosi (cosa che lo stesso Giobbe pensò), alla fine la compassione di Dio e la Sua misericordia si manifestano sempre (42:7-17; cfr. Gm 5:11).

Sommario

È possibile individuare cinque sezioni all’interno del libro:

(1) il prologo o introduzione (capp. 1, 2), che descrive le tribolazioni di Giobbe e le cause;

(2) tre sequenze di dialoghi tra Giobbe e i suoi tre amici, che ricercano una risposta razionale alla condizione di Giobbe (capp. 3–31);

(3) quattro messaggi di Eliu, molto più giovane degli altri amici, nei quali è contenuta una percezione del significato (ma non la causa) delle difficoltà di Giobbe (capp. 32–37);

(4) la risposta del Signore stesso che, dopo aver palesato l’ignoranza di Giobbe, ascolta i suoi lamenti e la sua replica (38:1–42:6);

(5) l’epilogo o conclusione (42:7-17), che descrive la reintegrazione delle benedizioni e della dignità di Giobbe.

Questo libro è stato scritto interamente in forma poetica a esclusione di tre brani: (a) il prologo (l’introduzione), (b) il tratto del cap. 32 compreso tra i versetti 1 e 6; (c) l’epilogo (la conclusione). Il cap. 1 presenta Giobbe come uomo integro e retto, che teme il Signore (1:1, 8). È definito l’uomo più ricco di tutto l’Oriente (1:3), ma all’improvviso la sua situazione cambia radicalmente e, a causa di una serie di terribili sciagure, perde i propri beni, i figli e la salute (1:13-22; 2:7- 10). Giobbe, allora, entra in confusione: non sa di essere oggetto di un attacco spirituale operato da Satana (1:6-12; 2:1-6). I suoi tre amici – Elifaz, Bildad e Zofar – vanno da lui per confortarlo ma scoprono, a loro dire, nuovi motivi per giustificare l’origine di tante tribolazioni. Questi asseriscono che, essendo il Signore giusto e retto, le sofferenze di Giobbe non possono che essere una punizione per i suoi peccati segreti. Secondo loro, l’unica speranza di Giobbe sarebbe stata confessare il peccato e ravvedersi. Sebbene riconosca di non sapere perché tutto questo gli stia accadendo, egli rifiuta i loro consigli e proclama la sua innocenza (capp. 3–31). Eliu, invece, presenta una prospettiva diversa: afferma che le sofferenze di Giobbe sono parte del piano di Dio che avrebbe ulteriormente benedetto Giobbe e lo avrebbe purificato (capp. 32–37).

Alla fine il Signore stesso zittisce tutti i presenti, parlando della Sua saggezza e della Sua potenza come Creatore. Giobbe confessa umilmente la propria incapacità di comprendere (capp. 38–41) e, dopo essersi sinceramente pentito per aver sfidato l’Onnipotente (40:1-4, 8; 42:5, 6), prega per i suoi amici che lo hanno criticato tanto aspramente (42:8, 10). Di conseguenza è liberato dal suo dolore e ricompensato con il doppio di tutti i beni avuti in precedenza (42:10). Il Signore, inoltre, difende Giobbe, affermando che, al contrario dei suoi amici, egli ha parlato di Lui secondo verità (42:7). Gli anni seguenti della vita di Giobbe sarebbero stati più benedetti di quanto non lo fossero stati quelli precedenti la prova (42:12-17). Nel libro, il Signore non spiega a Giobbe il motivo delle sue sofferenze, ma la Sua Parola ci fornisce un quadro molto chiaro da cui possiamo comprendere il significato e il valore di quella prova di fede (capp. 1, 2).