Scrittore

Giacomo

Tema

La fede in azione

Datazione del testo

ca. 45–49 d.C.

Contesto

Quella di Giacomo è classificata come una “lettera generale” (o cattolica) perché non fu subito indirizzata a una sola chiesa locale, bensì a un uditorio più ampio. Il saluto “alle dodici tribù che sono disperse nel mondo” (1:1), assieme ad altri cenni (2:19, 21), lasciano intendere che la lettera fu scritta originariamente a cristiani di origine ebraica. È possibile che, tra quanti ricevettero la lettera, ci fossero credenti della chiesa di Gerusalemme dispersi in seguito alla persecuzione, iniziata dopo la lapidazione di Stefano (At 8:1), giunti in Fenicia, a Cipro, ad Antiochia e oltre (At 11:19).

Questo spiegherebbe:

(1) l’enfasi iniziale sul sopportare con gioia le prove, le quali saggiano la fede e richiedono la costanza (1:2-12);

(2) la conoscenza personale di Giacomo dei credenti “dispersi”;

(3) il tono autorevole della lettera.

Giacomo, il fratello di Gesù e pastore della chiesa di Gerusalemme, è generalmente considerato lo scrittore dell’epistola. Come responsabile, egli scrive per incoraggiare e istruire i credenti nella fede, ponendone in risalto l’aspetto pratico. Il fatto che lo scrittore fosse ben conosciuto dai primi lettori è evidente dal modo in cui si presenta: semplicemente come “Giacomo” (1:1). Inizialmente egli non riconobbe Gesù come il Messia (cioè Cristo, il Salvatore) e mise persino in discussione la Sua autorità (Gv 7:2-5). Più tardi invece, dopo la sua conversione, Giacomo divenne molto influente nella Chiesa del primo secolo. È possibile dedurlo dal suo intervento alla conferenza di Gerusalemme (At 15:13-21), nonché dalle descrizioni a suo riguardo contenute in altri passi del Nuovo Testamento (ad es. At 12:17; 21:18; Ga 1:19; 2:9, 12; 1Co 15:7). Giacomo, molto probabilmente, scrisse prima del 50 d.C., ciò farebbe risultare il suo come il primo fra gli scritti del Nuovo Testamento con la possibile eccezione dell’epistola ai Galati. Il motivo per cui la lettera potrebbe essere stata scritta prima delle altre del Nuovo Testamento è dato da diversi fattori. Ad esempio, Giacomo non nomina mai le controversie riguardanti i credenti non ebrei, che sarebbero state risolte poi durante la conferenza di Gerusalemme (At 15), e fa uso della parola greca synagōgē per riferirsi al luogo dove i cristiani si incontravano (2:2). Inoltre, secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio, Giacomo, il fratello di Gesù, fu martirizzato (cioè ucciso per la sua fede) a Gerusalemme nel 62 d.C.

Scopo

Giacomo scrisse questa lettera:

(1) per incoraggiare i credenti di origine ebraica, che subivano prove e persecuzioni varie che mettevano a dura prova la loro fede;

(2) per correggere idee sbagliate sulla natura della vera fede in Cristo;

(3) per esortare, incoraggiare e istruire i credenti sugli aspetti pratici della fede, riguardanti la vita cristiana e le buone opere.

Sommario

Questa lettera tratta un’ampia gamma di argomenti, che riguardano essenzialmente la vita cristiana. Giacomo esorta i credenti a sopportare le difficoltà con gioia e a considerarle come delle opportunità di crescita spirituale (1:2-11). L’autore incoraggia i credenti a resistere alle tentazioni (1:12-18) e li incita non soltanto ad ascoltare la Parola di Dio, ma anche a metterla in pratica (1:19-27), a esprimere la fede con le opere, piuttosto che professare soltanto verbalmente di credere in Cristo (2:14-26). Avverte circa i pericoli della lingua (3:1-12; 4:11, 12), della saggezza terrena (3:13-16), del comportamento egoistico (4:1-10), della vita presuntuosa (4:13-17), dell’uso improprio delle ricchezze (5:1-6). Giacomo termina ponendo enfasi sulla pazienza, sulla preghiera e sul sostegno fra i credenti affinché rinnovino la loro fede in Cristo (5:7-20). Lungo i cinque capitoli che compongo l’epistola, Giacomo mette in risalto il rapporto tra la vera fede e la vita cristiana pratica. La fede è messa alla prova (1:2-16), è attiva (1:19-27), amorevole (2:1-13); si dimostra con le buone opere (2:14-26), nel controllare la lingua (3:1-12) e nella ricerca della saggezza divina (3:13-18). La vera fede in Gesù Cristo, inoltre, si sottomette al Signore come Giudice supremo (4:1-12) e confida in Lui per ogni aspetto della vita (4:13-17). Non è né egoistica, né indulgente con sé stessa (5:1-6), ma è paziente nelle sofferenze (5:7-12) e diligente nella preghiera (5:13-20).